Il prestigio di Tremonti

Un sano pragmatismo al di là dei consueti schemi precostituiti

di Francesco Nucara

Non capita spesso che un uomo politico si trasformi in una specie di enigma. E' quanto rischia di verificarsi per Giulio Tremonti, la cui performance in termini di consenso è, a dir poco, eccezionale. Esecrato nei mesi precedenti da un'opposizione che non gliene risparmiava una, oggi è sulla cresta dell'onda. A lui si rivolgono, con rispetto, personaggi del Pd che non brillano certo per accondiscendenza nei confronti dei propri rivali politici. Solo qualche irriducibile – Pierluigi Bersani è tra questi – agita vecchie carte per rinfocolare antiche polemiche. Ma su di lui aleggia ancora lo spirito di Vincenzo Visco – fanno entrambi parte di Nens, un centro studi del Pd – ed il suo antagonismo preconcetto. Un misto di rivalità accademica, oltre che politica.

Noi non siamo sorpresi di questo cambiamento. Stimavamo Giulio Tremonti quando gli altri lo criticavano, dall'interno della sua stessa maggioranza. Nel nostro piccolo, gli siamo stati vicini anche quando contro di lui si accaniva una congiuntura politica avversa, che lo costrinse a dare le dimissioni, per poi ritornare in sella. Non condividevamo le critiche ingenerose, che sottovalutavano le difficoltà incontrate nel gestire, come lui stesso è solito ripetere, il terzo debito pubblico del mondo in un Paese che non è certo la terza potenza mondiale. La sua ascesa improvvisa, quindi, non ci sorprende. Il vecchio detto "chi ha più filo tesserà" si è dimostrato, ancora una volta, dotato di una logica stringente.

Resta il mistero di quello strano destino. Com'è potuto accadere? Rispondere non è facile. Qualche mese fa, un giornale intelligente come "Il Foglio" di Giuliano Ferrara, ne aveva cercato di sondare il retroterra culturale. Il suo approdo era stato l'archeofuturismo: un complesso di teorie, che appartengono alla nouvelle droite francese e che si caratterizzano per la loro critica radicale al modernismo. Questo, secondo il giornale, era il giacimento teorico dal quale Giulio Tremonti traeva la sua forza. Non ne siamo così convinti. Se fosse così, il peso dell'ideologia sull'analisi disincantata dei fatti sarebbe preminente e non spiegherebbe un successo che non è solo italiano, ma, almeno, europeo.

Pensiamo alla proposta dell'action plan for growth. Fu lanciata dal Ministro durante la presidenza italiana europea, due legislature fa. Accolta dai nostri partner con cortesia, fu rapidamente posta in un cassetto. Oggi quella stessa proposta è divenuta una delle chiavi che, nei prossimi mesi, può dischiudere la strada della crescita economica o almeno ridurre l'impatto della recessione. Era una vecchia idea di Jacques Delors, insistono i minimalisti. E' vero, ma il trionfo del "mercatismo" – ecco una parola su cui Tremonti può rivendicare il copyright – l'aveva rapidamente bruciata, dopo averla archiviata. Il merito di Tremonti è stato quello di averla fatta rivivere non solo nel cielo della teoria, ma nella pratica. Visto che la Bei ha già concesso all'Italia crediti, per un valore di 15 miliardi di euro, grazie ai quali poter far avanzare il suo programma per le infrastrutture.

Questi episodi, ma altri ne potremmo ricordare (compresa la scelta recente di anticipare, prima della grande crisi finanziaria, la manovra economica triennale) dimostrano quanto sia difficile catalogare Giulio Tremonti all'interno di uno schema precostituito. Ma, forse, proprio questa è la sua forza: un sano pragmatismo da declinare, tuttavia, all'interno di più consolidate suggestioni teoriche. Un mix che gli consente di essere, al tempo stesso, innovatore e conservatore. Misurandosi così con la complessità di una crisi che, in pochi, riescono a decifrare ed anticipare.

Roma, 16 ottobre 2008